Con la mostra ETHEREA – Universo Digitale – “il medium è il messaggio” si scrive a Genova un capitolo della Storia dell’Arte a partire dalla Storia dell’Intelligenza dei Media. Il titolo stesso della rassegna che annuncia la Digitalità dell’Universo estetico-creativo a cui si fa riferimento e la Centralità Multimediale del Messaggio che gli artisti presenti hanno formalizzato in opera, chiama in causa i profeti ineludibili di questa ricerca internazionale: Marshall McLuhan e Derrick de Kerckhove.
Uno dei nodi di riflessione della rassegna, è quello del confronto tra l’idea di collettività, elaborata da Levy, e quella di connettività, elaborata da Kerckhove, da cui scaturirebbe una terza dimensione collettivo/connettiva costituita da un’interconnessione dei frammenti della rete tale da produrre inesplorati artefatti cognitivi. Quanto si riscontra nelle opere in mostra di sette artisti internazionali, paradigmatici relativamente alla problematica di partenza, risponde alle condizioni di connettività, come accesso allargato a informazione e conoscenza, di ipertestualità, come accesso simultaneo a livelli transcategoriali di comunicazione, di interattività, come possibilità di intervenire su un portato epistemico già codificato.
Questa mostra, vista nel suo insieme, si trasforma in un dispiegato scenario di schermi accesi, di video animazioni su monitor o in proiezione che, osservati, non mancano di interconnettersi con la sensibilità emotiva, intellettiva, cognitiva, dello spettatore, in cui ha messo in moto curiosità, domande, riflessioni, risposte. Come in un anello di Moebius, il paesaggio esterno degli schermi entra in quello subliminale dell’osservatore che, a sua volta, proietta all’esterno, tramite le sue reazioni, il suo paesaggio interiore.
La pervasività dei media nella vita di un individuo contemporaneo induce l’emergere di strutture neurologiche che agiscono sul comportamento della mente e del corpo. È innegabile, infatti, che noi siamo costantemente creati e ricreati dalle nostre stesse invenzioni, come afferma de Kerckhove. Tornando al suo grande ispiratore Marshall McLuhan, ideatore dell’assioma The Medium is the Message, si viene a sapere che, per un supposto refuso del tipografo, come sostiene il figlio Eric, il titolo in bozza del libro era diventato Massage invece di Message. A quel punto, Marshall, l’autore, decide, giocando con le parole, di adottare la variazione del titolo pubblicandolo nel 1967, con grafica di Quentin Fiore, come The Medium is the Massage, alludendo al massaggio dei mass media, ma anche all’Età di Massa, alla Mass Age, dando a noi, da figura geniale qual era, ulteriori argomenti, perfino autoironici!
Al Punto di Vista del Rinascimento, Derrick de Kerckchove oppone oggi il Punto di Essere, come portato di una fase elettronica immersiva fondata principalmente sul tattile. Il sistema nervoso non si rinnoverebbe solo geneticamente, ma anche neurologicamente, in quanto sede dell’interazione continua tra corpo, mente, ambiente. Lo sviluppo di una intellligenza collettivo- connettiva innescherebbe una mutazione psicotecnologica che interesserebbe anche il brainframe alfabetico.
Come anticipato, zone di analisi e ricerca sul mezzo virtuale, teorizzate da de Kerckhove e qui enunciate, si ritrovano, pertanto, nelle opere esposte.
Peter Aerschmann nelle sue video-animazioni, facendosi elemento mobile di quel transito che oggi connota la società globale, registra lo spaesamento, in russo Ostranenie, di soggetti, oggetti, comportamenti, appartenenti a culture e geografie dal Nord al Sud, dall’Occidente all’Oriente del mondo. Se, a livello sonoro, Stefano Cagol registra il rumorìo della comunicazione di massa, a livello rappresentativo realizza uno scenario umano di carattere immateriale e fantasmico, in cui reale e virtuale accadono come due componenti di un ente mutante, ancora instabile a livello di consapevolezza, sospeso tra conscio e inconscio. Come artista, sperimenta in diretta un’esperienza del limite naturale e mentale, caricandosi di energie a contatto con situazioni estreme a livello psicofisico e socio-antropologico.
L’intento di Alexander Hahn con la videoanimazione On the Rationalization of Sight/Sulla Razionalizzazione della Visione, non è soltanto quello di una riflessione sulla storia della visione, della percezione, della cognizione, nella prima Età Moderna dell’Europa, ma soprattutto quello sulla dinamica della ritrattistica che oggi consente, con la riproduzione digitale del fenachistoscopio, di percepire correttamente la tridimensione di un ritratto attraverso il movimento a spirale. È il nostro cervello, infatti, che ne elabora la visione stereoscopica.
Georgette Maag riconquista, paradossalmente, con le sue video-animazioni digitali, la lentezza, le movenze, la capacità di osservazione e di ascolto, il silenzio, l’estetica del quotidiano, perdute da un soggetto reale immerso nella connettività delle reti, per restituirle, chiudendo il cerchio, ad uno spettatore di inconfutabile fisicità.
Sara Tirelli realizza ambiti di ricerca in cui il soggetto umano entra in rapporto con la tecnologia immersiva tramite registrazioni binaurali, visori di realtà virtuale, creando cortocircuiti sensoriali e cognitivi e interrogandosi, tramite valori simbolici ed effetti visivi di straniamento, sull’interazione tra immaginario collettivo e connettivo.
Roberto Rossini ravvicinando i tempi di proiezione di spezzoni video, tramite un found footage, che può richiamare in parte la condizione di automatismo dell’objet trouvé praticata dal Dada e dal Surrealismo, realizza un flusso visivo percepibile dall’osservatore come processo mentale e vibrazione neuroestetica. L’istantaneità del suo Real Time acquisisce intenzionalmente un funzione rituale.
Christian Zanotto nelle videoanimazioni di scultura virtuale The Hat is wearing me (ritornello della canzone Dop Hat di M. Manson), di abbacinanti battaglie visive, d i Himself Portrait, autoritratto olografico visionario – leggibile come doppio, automa, golem, avatar – varca la soglia di un suo universo dai risvolti luciferini. Con le sue video animazioni di sculture virtuali (tecnica mista digitale, animazione 3d, Full HD, loop) racchiuse in teche olografiche di suo design, attrae l’osservatore nei silenzi del profondo, negli abissi della mente, nell’imponderabile immaterialità dello spazio e del tempo.
(Viana Conti)